Se la povertà e la violenza diventano i nuovi incubi

Che Mariana Enriquez fosse una scrittrice da tenere d’occhio lo sappiamo ormai da qualche anno: penna affilata, temi difficili da trattare se non con una schiettezza di chi ha fatto proprio questo mondo, questa realtà, quella del Sud America e di tutte le sue ambivalenze.

Nata a Buenos Aires, la Enriquez ha pubblicato una serie di racconti incendiari su alcune riviste per poi scriverne due raccolte e un romanzo, in Italia pubblicati da Marsilio Editore.

La raccolta di racconti di cui parlerò in questo articolo è “Le cose che abbiamo perso nel fuoco” (vi consiglio anche “I pericoli di fumare a letto” e “La nostra parte di notte”) in cui il mistico, l’inquietante e, di tanto in tanto, il sovrannaturale si mischiano con le brutture, le ingiustizie e i crimini reali. Lo scenario è Buenos Aires e i personaggi vengono scelti di volta in volta in ogni ceto sociale. Il perturbante è co – protagonista del libro che sfrutta leggende e incubi per portare a galla alcuni dei più salienti problemi sociali della capitale argentina. Ciò che sorprende dei racconti è come questa mescolanza tra i demoni evocati dalla scrittrice e i fatti di attualità trovino una sincronia pressoché perfetta: i bambini abbandonati dalle mamme tossiche che vengono rapiti e di cui si trova il corpo martoriato, ragazze che scappano per fare uno scherzo diventano vittime dei fantasmi di una vecchia stazione di polizia o ancora poliziotti corrotti che per il gusto della violenza picchiano e annegano i giovani più poveri, spesso strafatti, in realtà alimentano un grande mostro nascosto nel fiume (tossico, sporco, inquinato fino all’inverosimile) che attraversa la città.

Potrebbero sembrare quasi delle metafore ben riuscite, ma in verità la sensazione nel leggere questi brevi quanto incisivi racconti è la sensazione di terrore: la povertà e la miseria fanno paura quanto le creature (reali o inventate) che fanno parte del racconto come fantasmi, le ombre o le case infestate ma anche esseri concreti come bambini con denti limati che squartano i gatti, ragazze lasciate a se stesse che per avere un briciolo di adrenalina rischiano la vita nei bagagliai dei furgoni strafatte degli oppiacei delle madri o ancora bambini costretti a prostituirsi perché schiavi della droga prima della fine delle scuole elementari.

In ogni racconto Mariana Enriquez punta il faro sui problemi quotidiani, sociali, della realtà in cui vive, in una città (ma anche nei paesi circostanti) tra degrado, cartelli della droga, analfabetizzazione (anche emotiva). Il lettore è portato con mano a toccare quanto faccia rabbrividire un mostro o qualunque essere sovrannaturale ma anche quanto faccia paura, quanto sia dura la realtà per alcuni personaggi e comparse del racconto che trovano un sosia nella vita reale. Spesso i personaggi non fanno parte delle borgate o della parte debole della comunità: il punto di vista è quello di giovani donne che hanno ereditato una bella casa e hanno una vita decorosa, oppure che sono riuscite ad avere un lavoro, spesso nel sociale; altrimenti bambini ma non poveri, bambini di famiglie normali che si cacciano in avventure di dubbia sicurezza.

Questo punto di vista privilegiato ha il sapore del senso di colpa, i protagonisti si mobilitano per aiutare, per salvare, per modificare la realtà e come in ogni perfetto incubo non ci riescono. Per loro è impossibile cambiare la realtà perché le persone in difficoltà non solo non vogliono aiuto spesso alla fine diventano i carnefici dei loro benefattori entrando in una logica malata ma reale: la mamma tossica che non vuole che il figlio si allontani o accetti aiuto dagli altri nonostante lo picchi e lo abbandoni in continuazione, i giovani delle borgate che tendono quasi una trappola alla procuratrice, quello che sembrava un bambino maltrattato è in realtà un mostro. Pochi racconti si soffermano sulle leggende e hanno una sorta di lieto fine come il caso del racconto “Ragnatela” in cui un marito spocchioso e snob accompagna la moglie dai parenti in una cittadina vicino a Buenos Aires. In questo viaggio mostra ogni lato negativo del suo carattere tanto da far sperare nella moglie la sua morte o la sua scomparsa. Anche in questo caso la scrittrice ci porta attraverso le tradizioni del posto e agli immancabili racconti di fantasmi che hanno il buon gusto di accontentare la protagonista.

Con uno stile diretto, che entra subito in media res, la Enriquez ci catapulta nelle vite da lei modellate accompagnandoci nelle realtà più nere e in cui la speranza, uno spiraglio di luce, vengono velocemente richiusi da tende colme di incubi.

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